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La pandemia dovuta alla diffusione del virus Covid-19 stravolge ogni aspetto della vita sociale ed economica delle nostre comunità, impattando in maniera significativa anche sui contratti che regolano la realtà e i traffici commerciali.

La crisi in cui siamo immersi incide sull’adempimento delle obbligazioni contrattuali nei rapporti commerciali nazionali ed internazionali, causando una catena di ritardi, adempimenti parziali o impossibilità nell’esecuzione delle prestazioni.

Una delle questioni all’ordine del giorno che si pone con più forza perché coinvolge una moltitudine di privati ed imprese è quella relativa all’incidenza della pandemia sui contratti di locazione, tema in merito al quale sono immediatamente sorti quesiti e dubbi interpretativi ai quali occorre dare una risposta per evitare che da ciò si origini uno smisurato contenzioso; appare dunque necessaria una valutazione globale che non si limiti all’analisi della normativa ultima vigente ma contempli tutti gli istituti giuridici di matrice contrattuale rilevanti e fondamentali per orientare gli interpreti.

La gestione delle sopravvenienze in ambito contrattuale anima da sempre il dibattito in dottrina e giurisprudenza, nel tentativo di mediare tra due principi antitetici che qui vengono in rilievo ed espressi nelle massime di origine romanistica pacta sunt servanda e rebus sic stanti bus, nonché di verificare la compatibilità degli strumenti di gestione delle sopravvenienze con la fondamentale regola dell’accordo e della vincolatività del contratto.

Nei negozi c.d. di durata, tra i quali vanno annoverati anche i contratti di locazione, ben possono verificarsi vicende perturbative, non previste dalle parti e sopravvenute rispetto al momento della conclusione del contratto che interferiscono con l’operazione programmata, alterandone in modo significativo l’equilibrio così come cristallizzato al momento della stipula o compromettendo la perseguibilità stessa degli interessi dedotti.

Non difetta il diritto civile di ipotesi di sopravvenienze tipiche e codificate in cui è il legislatore che riconosce rilevanza giuridica a talune circostanze sopravvenute e ne prevede i rimedi.

Il concetto di forza maggiore permea gli istituti dell’impossibilità sopravvenuta totale, parziale, definitiva e temporanea della prestazione ex artt. 1256 e 1258 c.c., rimedi previsti nel contesto dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento e che nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive trova riscontro nella disciplina della risoluzione ex artt. 1463 e ss. e 1467 e ss. (Eccessiva onerosità).

Si segnala, e non è di poco conto, che il governo sia di recente intervenuto a regolare la materia con misure urgenti per il contenimento e la gestione dell’attuale emergenza sanitaria (Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 “Cura Italia”), prevedendo all’art. 91 che il rispetto delle misure di contenimento imposte dai precedenti provvedimenti d’urgenza debba essere sempre valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore a fronte dell’inadempimento contrattuale.

È evidente che la normativa appena citata potrà essere invocata come esimente della responsabilità e supportare l’adozione dei rimedi contrattuali menzionati per garantire l’equilibrio negoziale.

La crisi sanitaria rende del resto quanto mai attuale il dibattito sulla possibilità di ammettere rimedi di gestione delle sopravvenienze anche non codificati e di matrice convenzionale.

Si pensi al c.d. “ius variandi”, ossia il diritto potestativo del contraente di modificare unilateralmente, senza il consenso dell’altra parte, il regolamento negoziale concordato, istituto tipizzato in alcune fattispecie codicistiche che ricordiamo in relazione al contratto di appalto (artt. 1661 e 1664 c.c.), di trasporto (art. 1685, co. 1) di mandato (art. 1711, co. 2 c.c.) e di deposito (art. 1770, co. 2 c.c.).

Alla medesima ratio risponde la c.d. “rinegoziazione”, termine con il quale si identifica l’operazione attraverso la quale le parti ridefiniscono il contenuto del regolamento contrattuale a seguito di sopravvenienze idonee ad incidere sull’equilibrio economico-giuridico prefissato al momento della stipulazione del contratto, evitando il ricorso a rimedi risolutori.

In alcuni rapporti negoziali ad esecuzione continuata o differita il legislatore ha ammesso l’utilizzo del rimedio manutentivo: se durante l’esecuzione del contratto di appalto si verificano, per effetto di circostanze imprevedibili, aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della manodopera, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo (art. 1667 c.c.); parimenti, se durante l’esecuzione del contratto di affitto, a causa di una disposizione di legge o di un provvedimento dell’Autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato, può essere chiesto un aumento o una diminuzione del fitto (art. 1623 c.c.) e così via solo a titolo esemplificativo.

Stabilire se, al di fuori dei casi specificamente disciplinati dalla legge, l’autonomia privata possa spingersi sino a dar vita a clausole contrattuali che conferiscano il potere di incidere sul contenuto del contratto ad uno solo dei contraenti, o allo stesso modo chiedersi se dalla previsione delle singole disposizioni riportate sia possibile, pur in mancanza di una esplicita regola codificata, desumere l’esistenza di un principio generale di revisione contrattuale, rappresentano interrogativi che assumono nell’attuale momento storico assoluta centralità.

Alcuni autori ritengono che ciò non sia ammissibile, dovendosi considerare i rimedi manutentivi previsti dal legislatore di natura eccezionale. Inoltre esisterebbe un indiscutibile principio di sopportazione del rischio di gestione in conseguenza del quale il singolo contraente non può addossare ad altri il rischio insito nel mercato.

Secondo un diverso orientamento sarebbe configurabile al contrario l’esistenza di un obbligo generale di rinegoziazione che rinverrebbe la propria fonte legale nel dovere di buona fede. Si ritiene infatti conforme alle regole della correttezza non far gravare soltanto in capo ad una delle parti i rischi connessi alla sopravvenienza di eventi idonei ad incidere sull’equilibrio economico-giuridico esistente al momento della conclusione del contratto.

Il panorama di rimedi contrattuali di gestione delle sopravvenienze invocabili dalle parti di un contratto di locazione risulta dunque articolato ed eterogeneo e non necessariamente pare dover essere confinato nell’ambito di fattispecie già tipizzate.

Non mancano dunque fattispecie, siano esse codificate o meno, sulla scorta delle quali inquilini e proprietari possono ancorare le rispettive pretese rispetto al mutato equilibrio negoziale e pattuire una riduzione del canone di locazione con accordo da registrarsi entro 30 giorni per evitare di pagare le imposte sui canoni non riscossi.

Tale rilevo evidenzia ancora una volta come la soluzione preferibile per regolare l’assetto e il regolamento negoziale tra le parti, a fronte di eventi dirompenti come l’attuale pandemia, dovrà risiedere principalmente nell’autonomia privata e nella capacità dei contraenti di regolare i propri reciproci interessi con formule e rimedi contrattali ponderati sul caso concreto e frutto di una leale negoziazione.

Per tale ragione si ritiene la via della Mediazione civile e commerciale (ex D.M. 180/2010) un’opzione maggiormente utile a dirimere contrasti che necessariamente scontano un ampio spazio di incertezza e per i quali il ricorso giurisdizionale, oltre che per le lungaggini oltremodo acuite dall’emergenza in corso, non appare lo strumento più idoneo.

Al fine di preservare le relazioni commerciali, evitare i tempi lunghi di un contenzioso civile e l’alea dell’esito del giudizio, è auspicabile che le imprese decidano di privilegiare forme di “dispute resolutions” stragiudiziali come la Mediazione, fondate sul dialogo e sulla possibilità di raggiungere soluzioni che tengano in considerazione gli interessi delle parti e siano sostenibili nel tempo.

L’intervento di un Mediatore quale soggetto terzo ed imparziale, i costi contenuti dei tariffari ministeriali immediatamente consultabili e la possibilità di raggiungere un accordo in tempi brevi con valore di titolo esecutivo al pari di una sentenza rappresentano motivazioni obiettive che spingono ragionevolmente le parti e i professionisti che le assistono ad azionare tale strumento stragiudiziale delle controversie, specialmente in un momento storico dove assistiamo alla sostanziale paralisi dei Tribunali, sulla cui durata peraltro non è possibile esprimersi in termini di certezza.