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Gli edifici condominiali non sempre sono accessibili ai disabili, che spesso si trovano davanti a ostacoli che impediscono loro di accedervi liberamente. È intervenuta a tal proposito la Cassazione che, con la sentenza n. 7938/2017, ha stabilito che “le opere edili per eliminare le barriere architettoniche prescindono dall’effettiva utilizzazione dell’edificio da parte di una persona disabile”, richiamando la legge n. 13/1989, contenente le “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”, espressione di un principio generale di solidarietà sociale, le cui finalità sono dirette a favorire l’accessibilità agli edifici. Vi è di più: se il regolamento condominiale dovesse prevedere divieti a tal proposito, deve essere considerato prevalente il diritto di eliminare le barriere architettoniche del fabbricato.  Inoltre, nel caso in cui fosse necessario realizzare opere come un ascensore o un montascale, il soggetto disabile o un suo tutore dovrà fare richiesta all’amministratore, che dovrà adoperarsi per convocare assemblea e deliberare sul punto. Nel caso di rifiuto da parte dell’assemblea o di mancata risposta entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, il condomino disabile potrà effettuare gli interventi necessari a sue spese, modificando anche l’ampiezza delle porte d’accesso, con il limite di non arrecare pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell’edificio. Potrà in ogni caso beneficiare di contributi previsti dalla legge, presentando apposita domanda al sindaco del comune in cui ha residenza con l’esatta indicazione delle opere da eseguire e la spesa da sostenere.