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La condizione di procedibilità si verifica solo quando, sia in caso di demandata, sia in caso di mediazione obbligatoria, le parti superano il primo incontro programmatico.
Infatti, la deliberata scelta di non attivare la procedura, soprattutto a seguito di un ordine del giudice, non ha nessuna valenza ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità della domanda, oltre a non esservi alcuna ragione che possa giustificare un tale comportamento. Si tratta di una vera e propria violazione del precetto normativo, secondo il giudice Moriconi: sia non attivando la mediazione sia facendo verbalizzare le solite, tristemente note, dichiarazioni di stile. Nella sentenza del 23 febbraio 2017, il dott. Moriconi ammonisce chi si ostina a fermarsi al “mero incontro informativo”, sostenendo che: “È di tutta evidenza l’illogicità e la pochezza dell’argomento: il presupposto normativo e assiologico dell’istituto mediazione è per l’appunto che vi sia una lite (che mediante l’ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non condividere l’opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta, ‘ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite!”.

Il provvedimento si conclude con un suggerimento di strategia difensiva, che consiste nell’evitare la solita dichiarazione congiunta di non voler proseguire. Per cui, se l’istante intende svolgere effettivamente la mediazione demandata, non fermandosi al primo incontro, deve dichiararlo e farlo verbalizzare dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione da quella della controparte. In questo caso, il mancato svolgimento della mediazione demandata non comporterà l’improcedibilità della domanda e tale rischio si sposterà sulla parte antagonista.

Testo integrale:
In Nome del Popolo Italiano
TRIBUNALE di ROMA
SEZIONE Sez.XIII° N. RG 67163-11
REPUBBLICA ITALIANA
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
nella causa tra
F.P.P iure proprio e iure hereditatis nella qualità di genitore esercente la potestà sui minori M. e A.
P. (avv. M.)
attore
E
spa Z. (assicurazione) in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.to G.C.)
convenuta
E
convenuta contumace
ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art. 281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 23.2.2017 dando
lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza,
la seguente
S E N T E N Z A
letti gli atti e le istanze delle parti, osserva:
La motivazione che segue è stata redatta ai sensi dell’art.16-bis, comma 9-octies (aggiunto dall’art.
19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito,con modificazioni, dalla L. 6
agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla
legge 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice
depositati con modalita’ telematiche sono redatti in maniera sintetica.
Poiché già la novella di cui alla l.. 18 giugno 2009, n. 69 era intervenuta sugli artt.132 cpc e 118
att.cpc , prevedendo che la sentenza va motivata con una concisa e succinta esposizione delle
ragioni di fatto e di diritto della decisione, occorre attribuire al nuovo intervento un qualche
significato sostanziale, che tale non sarebbe se si ritenesse che l’innovazione ultima sia puramente
ripetitiva – mero sinonimo- del concetto già precedentemente espresso.
La necessità di smaltimento dei ruoli esorbitanti e le prescrizioni di legge e regolamentari (cfr.
Strasburgo 2) circa la necessità di contenere la durata della cause, impongono pertanto
applicazione di uno stile motivazionale sintetico che è stile più stringente di previgente alla
disposizione dell’art. 19, comma 1, lett. a, n. 2-ter, d.l.83/2015.
-1- Il fatto
F.P.P. esponeva 1 che
che il giorno 30.04.2010, alle ore 02.00 S.M., coniuge dell’esponente, si trovava in qualità di terza
trasportata sull’autovettura Opel Agila targata CE178LH di proprietà e condotta dalla sig.ra G.R.
che percorreva in Roma piazza di Cinecittà;
che nelle predette circostanze di tempo e di luogo, l’autovettura Opel Agila giunta all’altezza
dell’intersezione con viale Palmiro Togliatti entrava in collisione con l’autovettura Mercedes
targata DL034KX di proprietà del sig. P. D. e condotta dalla sig.ra G.R.;
che a seguito del violento urto la sig.ra M.S. ha riportato gravissime lesione personali, e veniva
trasportata presso il P.S. del Policlinico Casilino, ove veniva refertata con la seguente diagnosi:
Politrauma con ematoma subdurale parietale dx, ematoma intraparenchimale temporale dx,
frattura lineare dell’osso temporale sn con interessamento della porzione timpanica e del
processo mastoideo, contusioni polmonari bilaterali con versamento pleurico;
che sul luogo del sinistro interveniva una pattuglia della Polizia Municipale del X° Gruppo, che
redigeva verbale dell’accaduto;
che il sinistro de quo ha causato deficit di deambulazione e deficit cognitivo, come risulta dal
riconoscimento da parte della Commissione della ASL RM/A ai sensi della legge 104/92 di una
invalidità pari al 100% con diritto all’indennità di accompagnamento per “encelopatia post
traumatica con tetra paresi spastica“, come da documentazione allegata;
che la Z. S.p.A., con lettera del 20.09.2010 contestava il risarcimento del danno in quanto non
dovuto alla attrice per mancato uso delle cinture di sicurezza, e, di conseguenza non formulava
alcuna offerta risarcitoria ;
chiedendo il risarcimento dei danni tutti ed a qualsiasi titolo maturati. Sia relativamente al periodo
di invalidità della de cuius (dal 30.4.2012 al 4.1.2013) e sia relativamente al decesso della de cuius ,
avvenuto in data 4.1.2013 e conseguente al sinistro de quo.
L’assicurazione si costituiva eccependo che aveva corrisposto alla M. la somma di
€.300.000 in data 3.2.2012; che la predetta non aveva indossato la cintura di sicurezza (come si
evinceva dal fatto che era stata sbalzata alcuni metri fuori della vettura) sicché sussisteva
cooperazione colposa della medesima (ex art. 1227 cc) e che comunque le domande avanzate in
sede di riassunzione erano da considerarsi nuove, improcedibili ed irricevibili (in ogni caso
contestava che la morte avvenuta tre anni dopo fosse correlabile al sinistro del 30.4.2010)
Con ordinanza del 21.10.2013 ritenute ammissibili le domande contenute nella citazione in
riassunzione 2 il Giudice disponeva consulenze tecniche, cinematica e medico-legale. La relazione
del perito nominato dal tribunale rendeva chiaro ed esplicito che S. M. indossava regolarmente al
momento del sinistro la cintura di sicurezza e che tuttavia riportava egualmente gravissime
lesioni a causa della posizione in cui si trovava all’interno dell’autovettura (passeggera sul
sedile anteriore destro) e l’urto violentissimo (l’autovettura antagonista viaggiava a circa di 70
km orari) avvenuto lateralmente proprio dalla sua parte.
La macchia ematica rinvenuta a distanza sul suolo non ha il significato che assume l’assicurazione.
Non vi è alcuna prova che la M. sia stata sbalzata dall’autovettura. Quella traccia può essere
interpretata diversamente ed in vari modi (ad esempio, se della M., formata nel corso delle
operazioni di trasbordo sull’autoambulanza)
Le opinioni del CTP dell’assicurazione sono forzate, illogiche ed errate. Correttamente rileva il
consulente del Giudice: per valutare la possibilità di proiezione della passeggera della Opel Agila
fuori dalla vettura che la trasportava quando questa colpiva l’aiuola spartitraffico, deve
premettersi che tale proiezione deve essersi realizzata lungo una traiettoria pressoché orizzontale
, che la passeggera della Opel Agila sedeva ad una altezza dal suolo di circa 0,64 mt. quando
nell’istante dell’urto contro lo spartitraffico la vettura che la trasportava possedeva una velocità di
circa 37,25 Km/h e che la distanza delle tracce ematiche ad essa riconducibili misurava circa 11 mt.
da tale punto . In tale contesto obiettivo si ritiene che detta passeggera non possa essere stata
lanciata nel punto in cui venivano rilevate le tracce ematiche addebitategli , ovvero ad una
distanza di 11 metri dal punto in cui l’Opel Agila colpiva lo spartitraffico con la ruota anteriore
destra . D’altro canto non si può fare a meno di notare che al momento della proiezione contro lo
spartitraffico , e a seguito dell’ apertura dello sportello ( lato passeggero ) , venivano proiettati
sull’isola spartitraffico : il pannello della porta , il gruppo ottico anteriore e la scarpa della
passeggera e quindi una eventuale proiezione della passeggera sullo spartitraffico non poteva
verificarsi in un punto troppo distante dal pannello o dalla scarpa e oltretutto con una traiettoria
di lancio diversa . Infatti il corpo della passeggera ( decisamente più pesante del pannello della
porta o della scarpa ) a fronte di pari contraccolpo non poteva essere lanciato ad una distanza
maggiore , stante l’avvenuta esplosione dell’air-bag lato passeggero e la posizione della porta lato
conducente che rimaneva “agganciata” al montante della vettura , fatto questo che impedisce di
comprendere dove poteva passare nella fase di lancio il corpo della passeggera ….la traccia
ematica rilevata da PG non si ritiene compatibile con una ipotetica proiezione di corpo della
trasportata Sig.ra M” All’esito di tali indagini, con un quadro sufficientemente chiaro della
situazione, in fatto ed in diritto, il Giudice emetteva l’ordinanza di cui infra.
-2- L’ordinanza di invio in mediazione del giudice
Con ordinanza del 25.5.2015 il Giudice esposte con estrema precisione le modalità con le quali le
parti avrebbero dovuto dare seguito a quanto ivi prescritto ed avvertitele delle conseguenze di
un’eventuale inottemperanza e dopo aver premesso che delle molteplici voci di danno
considerabili (pur nella carente sommaria esposizione dell’attrice prima e degli attori in
riassunzione poi) vanno considerati:
il danno parentale (degli attori), iure proprio, con ciò intendendosi quello connesso ad un diritto
personale e proprio di quei soggetti, in questo caso, marito e figli, che hanno patito e patiranno la
perdita (in data 4.1.2013, da porsi in diretta connessione con l’evento del 30.4.2010) della
presenza, con tutto ciò che questo implica, rispettivamente della moglie e della madre nell’ambito
della famiglia;
il danno biologico (del defunto), iure hereditario, che attinge la privazione, in capo a S.M., del
diritto al bene della salute, della integrità psico-fisica e della vita. Al di là delle speculazioni che su
questo ultimo punto agitano la giurisprudenza è ben arduo ammettere che la privazione, in grado
supremo, del bene della vita, sia a costo zero (salvo eventuali sanzioni penali) per il danneggiante.
Nel caso di specie il lasso temporale fra lesione e decesso dispensa, attesa la favorevole
giurisprudenza, ulteriori disquisizioni, consentendo ingresso a tale diritto. Tale diritto si trasmette
agli eredi. Né vanno operate decurtazioni della somma concessa, in virtù della ragionevole
dipendenza della morte dal sinistro del 4.2010;
e ritenuto che vanno applicate per entrambe le voci suddette le tabelle del tribunale di Roma,
adeguate nell’uso appropriato, a ben regolare la personalizzazione dei danni afferenti alle stesse;
allogata al 30% la percentuale di concorso di colpa;
proponeva:
il pagamento a favore di F.P.Pin proprio e nella qualità di esercente la potestà sui minori M. P. e A.
P. della complessiva somma di €.970.000,00 (al netto di quanto già percepito e del concorso di
colpa) a carico della spa Z. Oltre al pagamento, a carico della stessa parte, di un contributo alle
spese di causa a favore degli attori per l’importo di €.8.000,00 oltre ad IVA CAP e spese generali;
nonché spese di consulenza tecnica di ufficio
L’assicurazione non accettava la proposta esponendo due motivazioni:
il danno biologico riconosciuto dal Giudice nella proposta non può essere conteggiato con
riferimento alla vita media del soggetto, bensì con riferimento alla effettiva esistenza in vita della
M. pari a due anni e otto mesi;
le pretese attrici non sono ammissibili in quanto nella fattispecie non può essere riconosciuto il
danno catastrofale non previsto nella proposta del Giudice
L’attore quindi introduceva il procedimento di mediazione introdotto presso l’Organismo Forense
del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma
Dal verbale di mediazione depositato in atti risulta che all’incontro del 13.10.2015 partecipavano
l’avv. C.M. per l’attore e l’avv.G.C. per l’assicurazione, con procura contenente facoltà di mediare e
conciliare.
L’avvocato M. depositava procura speciale da parte di F.P. P nella quale si comunicava che l’attore
non avrebbe partecipato per motivi familiari (sic)
Nel verbale risultavano cancellate le parti relative alle informative che il mediatore deve effettuare
alle parti circa la natura, scopo e finalità del procedimento di mediazione nonché dei benefici
fiscali.
Nel verbale NON veniva altresì dato atto che: il mediatore aveva richiesto alle parti ed ai loro
avvocati di esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione
Sempre nel verbale, si legge che le parti dichiarano congiuntamente di aver tentato di raggiungere
un accordo anche in considerazione dell’ordinanza dell’Ill.mo Giudice Moriconi, senza alcun esito
positivo. In ragione di ciò le parti congiuntamente dichiarano che non sussistono i presupposti per
proseguire la mediazione
La procedura si conclude quindi con esito negativo.
E’ di tutta evidenza che non è stata data rituale e piena esecuzione all’ordinanza che precede e che
le parti NON hanno esperito alcuna mediazione,
In questo specifico caso, addirittura neppure la fase introduttiva della stessa, con quanto ne
consegue.
Va ricordato che a mente dell’art.8 co. I° del decr.lgsl.28/2010 al primo incontro e agli incontri
successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza
dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti
e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso
positivo, procede con lo svolgimento.
D’altro canto l’art. 2 bis del’art. 5 della legge prevede che quando l’esperimento del procedimento
di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera
avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
Pur volendo ritenere, contro l’evidenza, che le parti abbiano svolto la fase introduttiva e
preliminare della mediazione, vale osservare quanto segue.
Un’interpretazione delle norme che conduca a ritenere che esista un diritto potestativo della parte
di non dare corso al provvedimento del giudice che ordina la mediazione demandata ai sensi
dell’art. 5 co. II° della legge, è erronea e non può in alcun modo essere accettata.
Va considerato che il non chiaro testo normativo necessita di un’interpretazione adeguatrice che
lo ponga a riparo dalla altrimenti inevitabile censura di incostituzionalità per irragionevolezza,
come nel caso che si accogliesse la tesi che le parti siano libere di non dare corso alla mediazione
(che tale non può essere definito il mero incontro informativo), raggiungendo lo stesso
vantaggioso risultato (inveramento della condizione di procedibilità) che la legge assicura a chi la
mediazione ha effettivamente e sostanzialmente esperito.
Identificare la “mediazione” con l’incontro informativo è un errore grossolano.
E’ la stessa legge infatti che definisce la mediazione come altro rispetto all’incontro informativo,
che è una fase preliminare e propedeutica alla mediazione.
Predicare che assolto all’incontro informativo, non volenti le parti entrare in mediazione, si debba
considerare questa – contro la realtà – egualmente svolta, è un’assurdità logica e giuridica.
Nell’incontro informativo, massime nella mediazione demandata, il mediatore svolge una funzione
di modesto rilievo , posto che essendo già in corso la causa, le parti sono già state debitamente ed
esaurientemente informate, per preciso obbligo di legge, dagli avvocati (e occorrendo dal giudice),
che accompagnano e assistono obbligatoriamente le parti all’incontro, di tutto ciò che devono
sapere sulla mediazione, al quale nulla può aggiungere il mediatore.
La giurisprudenza che si è occupata di tale problema è unanime nell’affermare che solo la
presenza di obiettive circostanze procedurali (et similia) integra l’impossibilità di procedere alla
mediazione, fermandosi all’incontro informativo, nessun’altra accezione della parola “possibilità”
essendo ammissibile.
In particolare tale giurisprudenza, inaugurata dal Tribunale di Firenze ha trovato, nella sua assoluta
razionalità e logica giuridica, meritato consenso e condivisione, tanto da potersi affermare che
essa costituisce diritto vivente del diritto nazionale sul punto.
– 3 – La natura dell’incontro di mediazione di cui all’art. 8 co. quinto della legge
Un’interpretazione che si fermasse al dato meramente letterale delle norme (in particolare del
comma 2 bis 10 dell’art.5 della legge ) potrebbe indurre in equivoco opinando che ove le parti, o
una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura
di mediazione, il procedimento di mediazione sia correttamente concluso e la condizione di
procedibilità della domanda giudiziale realizzata.
L’erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile.
Ed invero, che il procedimento di mediazione sia concluso non volendo le parti esperirlo è esatto;
che tale condotta delle parti sia corretta e la condizione di procedibilità sia stata realizzata,
sicuramente non lo è.
Sarebbe a dire, assecondando l’aporia, che da una parte la legge prescrive che per introdurre (o
proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste nelle
attività ben descritte nella lettera a. dell’art.1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed
nell’art.11 della legge) e dall’altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda
di mediazione) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (alla quale quindi non si è
proceduto) ..la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta…
Un perfetto ossimoro.
Aderendo a tale accezione e tenendo bene a mente il significato della parola “mediazione” si
dovrebbe ammettere che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la
mediazione (finanche quando il giudice lo abbia ordinato !), ottenendo però il medesimo
vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che se la
mediazione fosse stata esperita davvero.
Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale, perché significa predicare come avvenuta
una cosa quando indiscutibilmente essa non lo è.
E non solo.
Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual’è quella che ci occupa) possano ricevere
le informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del “primo incontro” (il mediatore
chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione) come un quid novi
che dischiuda loro, solo in quel momento, le prospettive della mediazione e del suo significato, è
cosa aberrante e confliggente, specialmente nella demandata, con la realtà, posto che le parti
sono state già preventivamente informate di che trattasi. Una prima volta al momento del
conferimento del mandato all’avvocato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa
al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia contro l’informativa mancata, con
l’intervento suppletivo del giudice) ed una seconda, all’atto della doverosa informativa
dell’avvocato al cliente del contenuto dell’ordinanza di mediazione demandata con il connesso
dialogo che precede la presentazione della parte e dell’avvocato all’incontro. Ed ancora.
Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione
e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione.
A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di
opportunità, e l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine
nella redazione di un provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più
spesso attesta- utili spunti ed indicazioni per la discussione ed il confronto fra le parti con il
mediatore, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica come ingiustificata e
pregiudiziale renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice ed espressione di un
volontario quanto ingiustificabile rifiuto a priori di sperimentare realmente con lealtà e senza
riserve mentali un percorso conciliativo.
– 4- L’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di cui agli att. 8 co. I e 2 bis
dell’Art. 5 del decr. lgsl 28/2010
Quale che sia stato l’intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare
per le norme in commento un’interpretazione in linea con la Carta Costituzionale.
Va premesso che per molto tempo nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato
considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della
originaria (e tuttora immutata) scelta del legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del
controllo di costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale.
Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per esporle.
Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero
sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi (questa storicamente è stata
una delle ragioni) è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità
alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale
in presenza di norme di dubbia costituzionalità, che si è da tempo avviato un processo inverso che
si può riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente orientata della
legge da parte del giudice ordinario. Non si è pervenuti per tale strada, né si potrebbe, ad un
controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale)
ed il giudice ordinario non espunge le norme dall’ordinamento giuridico come fa la Corte.
Tuttavia, con l’avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad
arricchire l’opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e più
prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte dell’ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per
quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità, è
quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio.
Nel caso in esame, l’interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il fianco
ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati elaborati, per
questo vizio, dalla Corte Costituzionale.
Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza all’art. 3 della Costituzione, con la
conseguente necessità, per accertare l’irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d.
tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo precisamente nel caso
in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere la
sua attività, che non è ovviamente solo quella informativa, bensì quella ricordata con la nota n.2).
L’interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e prevede le medesime conseguenze
(avvera mento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad
entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni.
Successivamente ed allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale
non più rapportato all’art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di
trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza,
contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore.
Anche in base a tale parametro l’interpretazione letterale non supera lo scrutinio di
costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative
formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave
incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno; ad
un convocato deceduto nelle more della presentazione all’incontro al quale si presenti uno degli
eredi per dichiararlo, etc etc.) può ammettersi che sussista l’impossibilità ad iniziare la procedura
di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di
mediazione (con l’inveramento della condizione di procedibilità e l’assenza di sanzioni).
Per inciso, è notorio a chiunque abbia anche una sommaria pratica di mediazione, che dietro alla
dichiarazione di impossibilità ad iniziare la mediazione ci sono pressoché sempre divergenze nel
merito delle questioni che costituiscono la materia del contendere.
Dal che l’inevitabile sillogismo che una vera impossibilità ad iniziare la mediazione non esiste
(quasi) mai.
Per completezza, è opportuno interrogarsi se così interpretata la norma, non si incorra nel rischio
(opposto) di prefigurare una sorta di mediazione forzata che l’intervento normativo con le
modifiche al testo originario del decr. lgsl.28/2010 di cui alla novella del decreto-legge 21 giugno
2013, n. 69 (artt.8 co. I° terzo periodo in poi e 2 bis dell’art.
intendeva scongiurare
Occorre intendersi sul significato della parola “mediazione”
Dal punto di vista sostanziale, va da sé che le parti che partecipano all’incontro di mediazione sono
del tutto libere di accordarsi o meno.
E pertanto nell’accezione di accordo, conciliazione et similia, la mediazione non è mai obbligata.
Né dal mancato raggiungimento dell’accordo in mediazione può derivare alle parti o a taluna di
esse pregiudizio di sorta, di alcun genere.
Dal punto di vista procedurale, alla domanda se vi sia un obbligo a carico delle parti di
partecipazione alla mediazione, la risposta è invece senz’altro affermativa; come rivela in modo
icastico tutto il sistema sanzionatorio previsto dalla legge.
Tale interpretazione – che ragionevolmente contempla l’eventuale situazione di inesigibilità della
prosecuzione oltre il primo incontro informativo – è perfettamente in linea con la logica, il buon
senso e la Costituzione.
Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento della mediazione (con i costi relativi)
nei casi nei quali oggettive ragioni “pregiudiziali” non lo rendano possibile, nell’accezione supra
illustrata; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e
sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l’opinione di
aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l’altra parte (per quanto all’evidenza viziata
dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene
offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione
-5- Le parti ( o taluna di esse) si fermano ingiustificatamente all’incontro informativo:
conseguenze
La verbalizzazione delle ragioni della impossibilità di procedere alla mediazione.
In mancanza di qualsiasi dichiarazione, che le parti possono richiedere di verbalizzare liberando in
tal modo il mediatore dall’obbligo di riservatezza, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel
procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato. Invero la regola di base
espressa dal decreto legislativo 28/2010 è l’obbligatorio svolgimento del procedimento di
mediazione di cui agli artt. 5 commi 1 bis e 2 (come attesta inequivocabilmente il sistema
sanzionatorio previsto dalla legge stessa per la mancata partecipazione, oltre che, a fortiori, per la
mancata introduzione della domanda di mediazione).
Ne consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce la violazione della
regola.
E, come per ogni violazione, in qualsiasi sistema (penale e non), è la parte che invoca una
giustificazione a doverla quanto meno allegare.
Le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato- di procedere e di partecipare alla mediazione sono,
se espresso dall’istante/attore, sovrapponibili alla mancanza tout court della (introduzione della
domanda di) mediazione.
Sarebbe infatti un’aporia ritenere soddisfatto il precetto della legge in materia di mediazione
obbligatoria e demandata, ritenendo che sia sufficiente al fine di integrare la condizione di
procedibilità la semplice formale introduzione della domanda.
Il legislatore persegue l’obiettivo dell’accordo e della pacificazione e una domanda di mediazione
che rimanga monca, senza alcun seguito, non serve a tale scopo.
Con quanto ne consegue (improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5 co. II° decr.lgsl.28/10
13 per la parte istante, attore nella causa)
Non può infatti essere oggetto di dubbio – giova ribadire quanto supra ampiamente dimostrato –
che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con
lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non può, specialmente nella mediazione
demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento
dell’esperimento della mediazione
La quale, come ricordato, consiste nell’attività, comunque denominata, svolta da un terzo
imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la
composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della
stessa (art. 1 del decr.lgs.28/10).
Nel caso di specie il deficit di diligenza dell’attore è particolarmente evidente.
Va ricordato infatti che nell’ordinanza del 25.5.2015 il Giudice aveva evidenziato in neretto e
sottolineato la necessità di effettiva partecipazione al procedimento di mediazione della parte
personalmente (in questo caso la labiale giustificazione motivi familiari è priva di specificità e non
accettabile) e che è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata,
laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre
agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente
Per contro l’attore:
nonostante il chiaro provvedimento del Giudice NON ha voluto darvi seguito esperendo un valido
percorso di mediazione senza distinguere e separare, con apposita dichiarazione a verbale, la sua
posizione e volontà da quella dell’assicurazione (come attesta l’avverbio “congiuntamente”
ripetuto due volte) ha impedito, in limine mediationis, che il mediatore potesse svolgere il suo
lavoro, addirittura, in questo caso, neppure procedere alla fase informativa;
in altre parole le parti si sono recate presso l’organismo di mediazione semplicemente per
informare (sic) il mediatore che non avevano raggiunto l’accordo. Questa NON è mediazione;
non ha partecipato personalmente, senza valida giustificazione, all’incontro di mediazione come
prescritto dal Giudice.
In conclusione va affermato (e ribadito) il principio che ove l’istante intenda svolgere
effettivamente la mediazione demandata, non fermandosi all’incontro informativo, e ciò a
differenza della parte antagonista che non intenda procedere, deve dichiararlo e farlo verbalizzare
dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione da quella della parte renitente.
In tale caso, il mancato svolgimento della mediazione demandata non comporterà
l’improcedibilità della domanda, bensì, ove il diniego della controparte non risulti giustificabile,
l’applicazione a carico di quest’ultima dell’art. 8 del decr.legs.28/2010 oltre, ricorrendone i
presupposti, dell’art.96 co.III° cpc.
In considerazione delle ragioni della decisione è giusto compensare interamente le spese di causa
fra le parti; dichiarando irripetibili quelle erogate.
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così
provvede:
DA’ ATTO del mancato svolgimento della mediazione demandata dal Giudice;
DICHIARA improcedibili le domande di F.P.P iure proprio e iure hereditatis nella qualità di
genitore esercente la potestà sui minori e A. P. ;
COMPENSA interamente le spese di causa, dichiarando irripetibili quelle erogate.
Roma lì 23.2.2017
Il Giudice
dott. Massimo Moriconi