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«Quando l’opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario – divisa in “innocentisti” e “colpevolisti” – in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell’imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommettere su una partita di calcio o su una corsa di cavalli.»
Leonardo Sciascia, articolo pubblicato su El País, 1987

Il seguente assunto mira a dimostrare, attraverso le teorie esplicate, come l’influenza dei mass media determina l’evolversi di un caso giudiziario, influendo negativamente nelle vite personali delle persone coinvolte in un processo mediatico.

Il Caso Tortora come esempio di Processo Mediatico ai danni delle persone che lo vivono

Un processo mediatico ti uccide dentro, crea crepe indelebili che nessuno potrà mai colmare.

Con un processo mediatico anche un piccolo dettaglio della tua esistenza può fare scalpore risucchiandoti in un buio tunnel, un vortice senza via d’uscita, nel quale ognuno si sente in dovere di commentare la tua vita, il tuo modo di fare, ciò che decidi di mostrare agli altri, il tutto sbattuto in prima pagina, romanzato e a volte, ancor peggio, venendo diffamati senza riportare alcun elemento probatorio valido nè tantomeno presentato in giudizio.

Colpevole o meno, un processo mediatico ti cambia per sempre. Fa perdere la fiducia verso l’altro, diventare diffidente verso ogni curiosità o impertinenza altrui. Ti porterà a crescere, a ragionare su quanto l’impatto della comunicazione sia importante per definire una persona. Su quanto a volte il giudizio precede la conoscenza della persona, facendo comprendere che nessuno è quello che mostra di essere all’esterno. Ti insegna a scavare nell’anima delle persone e a notare con sensibilità chi porta avanti le stesse lotte nascoste.

Un processo mediatico fa precedere il pettegolezzo, i preconcetti, il peggio delle persone, della società, la sua continua caccia al nemico, al colpevole da crocifiggere, prima ancora di dare importanza all’essenzialità del caso: il principio di Giustizia.

In Italia, un esempio concreto di influenza dei mass media in un processo mediatico risulta essere il Caso Tortora. Enzo Tortora, innocente, condannato e costretto a un calvario giudiziario evitabile se si fosse tenuto conto della garanzia costituzionale del giusto processo. Giorgio Biocca lo definì il “più grande esempio di macelleria giudiziaria all’ingrosso del nostro Paese”.

«Devo concludere dicendo: ho fiducia. Io sono innocente, lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi in questo dibattimento. Io spero, dal profondo del cuore che lo siate anche voi»: queste le parole di Enzo Tortora, un uomo che è stato martoriato insieme alla sua famiglia, considerato carne da macello per far notizia, fonte di guadagno per i giornalisti, perchè poteva diventare l’agnello sacrificale simbolo di una legge uguale per tutti, persino per un uomo famoso del mondo dello spettacolo, un caso perfetto per far carriera, solo perchè qualcuno a parole ha deciso di accusarlo senza alcun elemento probatorio reale.

Ancor più grave risulta che nessuno è stato condannato per quanto avvenuto: i giornalisti hanno continuato a diffamare, i giudici coinvolti hanno fatto un’ottima carriera e il primo pentito ha addirittura potuto godere della libertà.

Nel nostro Paese ci ritroviamo ad assistere a continue gogne, processi mediatici che fanno perdere di vista il rispetto verso la persona attiva che vive un processo o i suoi affetti. Assistiamo a testate giornalistiche, che con processi ancora in atto, sparano sentenze ancor prima che sia appurato da un giudice se le persone coinvolte siano colpevoli o meno, mancando di rispetto non solo alle persone che vivono una vicenda giudiziaria ma anche all’importanza che ha l’equo processo nel nostro ordinamento.  I processi mediatici in Italia non tengono conto veramente delle prove presentante, ma di quanto una notizia può far guadagnare se strutturata in un certo modo, o a volte ancora peggio romanzandola. Se le persone coinvolte fossero colpevoli, nulla toglie che il rispetto per i diritti umani debba essere garantito e che la diffamazione è un reato ai sensi dell’art. 595 del Codice Penale, ma soprattutto che l’obiettivo principale della pena per il nostro ordinamento consiste nella riabilitazione per il detenuto e la sua correzione per un reinserimento nella società. La vera essenza della giustizia lascia andare ogni concetto di vendetta per far spazio alla rieducazione, è questo che va spiegato alle orde di giustizialisti.

Processo mediatico: L’influenza dei media attraverso le teorie degli effetti

L’influenza dei media all’interno del processo giudiziario si può spiegare attraverso le teorie degli effetti, che si basano sulla premessa che «nell’ambito della comunicazione di massa, i media hanno effetti importanti, anche se poi i pareri divergono sulla natura di questi presunti effetti» . Le teorie degli effetti rappresentano uno dei modi di interpretare la comunicazione, e possono essere raggruppate in sei principali macro-aeree :

  1. Hypodermics effects: teorie che considerano i media come produttori di effetti diretti sugli individui, capaci di trasmettere agli individui comportamenti e punti di vista.
  2. Copycat effects: teorie che ritengono che i media sono capaci di attivare dinamiche di imitazione; si fonda sull’assunzione che gli individui siano naturalmente portati a imitare i modelli mediali.
  3. Innoculation theory: teoria secondo la quale l’audience si desensibilizza ai contenuti mediali quando questi si ripetono, e quindi verranno ritenuti “normali”.
  4. Two-step flow theory: teoria in cui l’influenza dei media è considerata come “indiretta” poiché la mediazione è effettuata da opinion makers nelle istituzioni mediali e da opinion leaders nei gruppi sociali.
  5. Uses and gratification theory: approccio secondo cui le audience scelgono da cosa “farsi influenzare”; in questo modo i media producono gratificazioni a bisogni sociali o possono rappresentare la cornice sociale in cui avvengono le dinamiche di gratificazione.
  6. Cultivation theory: approccio che deriva dall’“ipotesi di coltivazione”, secondo la quale il consumo ripetuto di alcuni contenuti mediali determina la “coltivazione” di attitudini e valori.

La teoria del framing è strettamente correlata alla teoria dell’agenda setting. Essa assume che il modo in cui le notizie sono incorniciate dai giornalisti e il modo in cui le incornicia il pubblico possono essere simili o differenti. Questa “incorniciatura” fa sì che le notizie risultino più comprensibili dal pubblico se collocate in uno schema di convinzione pregresse. Il frame si muove quindi come una decodifica anticipatoria per il pubblico. Secondo Dietram Scheufel possiamo distinguere due tipi diversi di frames:

a) media frames: sono i frames elaborati dai media, e comprendono al loro interno cornici elaborate da parte dei giornalisti correlate alle routines produttive redazionali e la trasmissione pubblica delle notizie secondo specifiche forme di incorniciatura;
b) individual/audience frames: sono i frames individuali e/o del pubblico, essi comprendono l’accettazione dei frames da parte del pubblico e l’attivazione di atteggiamenti conseguenti oltre a un feedback del pubblico che rafforza le dinamiche del framing e diventa responsabile della reiterazione degli stessi contenuti.

Dalla teoria del framing deriva il priming (“attivazione”), cioè il fenomeno che deriva dalle scelte giornalistiche di privilegiare determinati argomenti in modo da attivare un’influenza sui meccanismi di giudizio da parte dei soggetti. Il priming riguarda il “peso” di una notizia, e non la sua “gerarchicazione”, come invece avviene nell’agenda setting: se una notizia è più o meno enfatizzata, essa avrà un determinato peso a prescindere dalla sua posizione gerarchica nell’agenda dei media.

Tra le teorie degli effetti si può notare la teoria della spirale del silenzio elaborata da Elizabeth Noelle-Neumann nel 1980. Questa teoria si basa su uno schema di causa effetto: la società tende a isolare gli individui “devianti”, gli individui temono l’isolamento, e per evitare ciò gli individui tenderanno a rapportarsi costantemente con quello che essi percepiscono come clima di opinione dominante. Questo processo influenza il comportamento pubblico collettivo e quindi anche il soggetto nell’esprimere liberamente la propria opinione. Questa teoria presenta due tipi di conseguenze: individuali e collettive. Nelle conseguenze individuali possono essere collocate le mimetizzazioni del proprio pensiero e delle proprie opinioni se si pensa che queste siano in minoranza all’interno di un gruppo, mentre invece vengono enfatizzate quando si ritiene che siano conformi a quelle della maggioranza. Nelle conseguenze collettive si possono collocare le idee che percepite come dominanti si diffondono con un effetto “a spirale”, mentre le opinioni considerate minoritarie rischiano il silenzio e l’oblio.

I media possono influire in questo processo, proponendo come maggioritaria e ampiamente condivisa un’opinione, a prescindere che lo sia realmente, influenzando le opinioni effettive dell’audience. In quest’ottica si può osservare come i media tendono a essere autoreferenziali, come effetto della spirale del silenzio.

Processo mediatico e teoria della dipendenza dei media

Possiamo altresì constatare la teoria della dipendenza dal sistema dei media elaborata da Melvin DeFleur e Sandra Ball-Rokeach. Essa assume che gli individui possono conoscere solo una porzione della realtà, ma che in realtà essa è molto più ampia e significativa di quella che viene loro filtrata attraverso i media. In questo modo gli individui tendono a dipendere dai media per attingere informazioni che servono a realizzare i propri obiettivi. Secondo questa teoria i media sono una componente importante della società, e si suppone che la società stessa sia formata da relazioni tra gli individui. Queste relazioni sono molto articolate: possono essere conflittuali o di cooperazione, dinamiche e mutevoli, oppure statiche e ordinate. Gli individui dipendono dunque tra loro ma anche dai media per quanto riguarda il raggiungimento dei loro scopi. L’insieme delle relazioni tra gli individui forma delle “reti” che dipendono dai media per quanto riguarda l’interpretazione della realtà.

La teoria della dipendenza si avvale di un paradigma di tipo cognitivo per spiegare la dipendenza dei media, attraverso un processo psicologico che si sviluppa in quattro fasi:

  1. gli individui sono selezionatori attivi se scelgono attivamente di esporsi ai media, oppure sono osservatori casuali se vengono esposti casualmente;
  2. una volta che gli individui vengono esposti ai media, si verificano delle forme di dipendenza in proporzione alle motivazioni e agli scopi degli individui, che sono attivate da stimolazioni cognitive;
  3. Quanto più forte saranno le stimolazioni cognitive, tanto più forte sarà il coinvolgimento degli individui;
  4. in proporzione alla forza del coinvolgimento si produrranno gli effetti cognitivi, affettivi, e comportamentali. La teoria della dipendenza ipotizza che vi siano effetti forti in presenza di un’audience, indipendentemente dal fatto che sia attiva o passiva. Il successo del potere dei media avviene non perché essi siano isolati, ma perché i media controllano le risorse informative di cui gli individui hanno bisogno per raggiungere i propri scopi. Una società complessa comporterà maggiori scopi personali che implicano l’accesso alle risorse informative dei media.

Contrariamente al crimine che è sempre esistito, il rapporto tra mass media e crimine è abbastanza recente. Sono i media che guidano il pubblico nella percezione del reato, comunicando un messaggio e definendo temi percepiti come rilevanti, dando al pubblico chiavi di lettura dei fatti e di percezione della realtà, coontribuendo alla creazione di un clima di paura e insicurezza generale. Il crimine fa soprattutto notizia, motivo per cui la cronaca nera si è evoluta come genere giornalistico negli anni, acquistando sempre copertine nelle prime pagine dei giornali. Più grande sarà l’eccezionalità dell’evento, più spazio si darà alla notizia nei giornali e nei dibattiti televisivi. Questo grande audience prende il nome di “notiziabilità”. La notizia è la materia prima dell’informazione e del giornalismo, qualunque sia il mezzo adottato o il linguaggio scelto per trasmetterla, ed essa viene sottoposta a giudizi sia oggettivi che soggettivi e più che specchio della realtà ne diventa una ricostruzione.

Conclusione

Si è pertanto dimostrato come i mass media possano diventare un’arma a doppio taglio per chi ne subisce l’influenza, determinando a volte persino l’esito di processi che invece di essere svolti in Tribunale sembrano svolgersi nei salotti televisivi e nelle pagine scandalistiche, creando danni irreparabili all’immagine di una persona e a chi le sta intorno, persino quando infine risulta essere innocente.

Occorrerebbe pertanto, oggi sempre più, comprendere il limite tra lo svolgimento di un processo, la sua “notiziabilità”, il dovere di cronaca e la relativa spettacolarizzazione derivante da un’occupazione delle altrui vite derivante da un pettegolezzo mal raccontato, non utile ai fini processuali, che risulta essere una sterile dimostrazione di una società perennemente alla ricerca di un colpevole da portare alla gogna.

Di Fiorella Galletta, Case Manager di MPR
(Fonte: © www.altalex.com)