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Ancora una pronuncia nella quale si conferma l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale sviluppatosi all’interno del solco tracciato dalle ”celebri” ordinanze del Tribunale di Firenze del 17 e 19 marzo 2014.

Tribunale di Vasto, sentenza 9 marzo 2015. TribunaleVasto09.03.2015.pdf

Commento di Lugi Majoli (giurista):

In sostanza: il tentativo di mediazione, nella fattispecie disposto dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, deve essere effettivamente avviato, ossia le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, sono tenute ad adempiere effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.

Affinchè possa parlarsi di tentativo “effettivo”, però, occorre ovviamente la partecipazione personale delle parti, assistite dai propri avvocati e non “sostituite” da questi ultimi, salvo – beninteso – situazioni eccezionali, nelle quali, peraltro, occorrerà che i legali risultino dotati di idonei poteri di rappresentanza sostanziale.

L’assenza delle parti, infatti, determina conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti di una vicenda destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.

I principi appena riassunti sono stati configurati con riferimento alla mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, ma da più parti si è osservato, come gli stessi possano a buon diritto essere estesi anche  alla mediazione ante causam di cui all’art. 5, co. 1 – bis, del medesimo decreto legislativo 28/2010, dato che in entrambe le ipotesi il tentativo costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Nel caso di specie, il giudice istruttore, ritenuto che il comportamento delle parti, apparentemente disponibili all’individuazione di una soluzione conciliativa della controversia, fosse tale da consigliare il ricorso a soluzioni amichevoli, disponeva, ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, l’esperimento della mediazione.

Il relativo procedimento, però, veniva chiuso dal mediatore in quanto la parte chiamata non riteneva sussistenti i presupposti per l’inizio di un confronto nel merito, peraltro all’esito di un primo incontro nel quale le parti non risultavano comparse personalmente.

Il Giudice rileva innanzitutto come la natura stessa della mediazione richieda che all’incontro con il mediatore siano presenti (anche e soprattutto) le parti di persona.

L’istituto, infatti, “…mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto; questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. Nella mediazione è fondamentale, infatti, la percezione delle emozioni nei conflitti e lo sviluppo di rapporti empatici ed è, pertanto, indispensabile un contatto diretto tra il mediatore e le persone parti del conflitto. Il mediatore deve comprendere quali siano i bisogni, gli interessi, i sentimenti dei soggetti coinvolti e questi sono profili che le parti possono e debbono mostrare con immediatezza, senza il filtro dei difensori (che comunque assistono la parte). D’altronde, il principale significato della mediazione è proprio il riconoscimento della capacità delle persone di diventare autrici del percorso di soluzione dei conflitti che le coinvolgono e la restituzione della parola alle parti per una nuova centratura della giustizia, rispetto ad una cultura che le considera ‘poco  pensabile applicare analogicamente alla mediazione le norme che, ‘nel processo’, consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore o le norme sulla rappresentanza negli atti negoziali. La mediazione può dar luogo ad un negozio o ad una transazione, ma l’attività che porta all’accordo ha natura personalissima e non è delegabile.

In secondo luogo, occorre considerare che gli avvocati delle parti (mediatori di diritto secondo la stessa legge) sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità (come, peraltro, si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente l’informativa di cui all’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010), di talché non avrebbe senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore in vista di una inutile informativa. Pertanto, osserva il Giudice, “…ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. L’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare “la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”).

Si perviene, quindi, al passaggio che – ad avviso di chi scrive – risulta rivestito della massima importanza.

Alla luce delle considerazioni che precedono, infatti, il giudice ritiene che “…sia per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, comma 1 bis, D. Lgs. n. 28/2010, sia per la mediazione demandata dal giudice, ex art. 5, comma 2, è necessario – ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda – che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori, come previsto dal successivo art. 8) all’incontro con il mediatore”.

Graverà quindi sul mediatore stesso, in quanto soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, l’onere di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle parti “…ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro, sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione, ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire”.

La parte interessata in senso contrario alla declaratoria di improcedibilità della domanda avrà pertanto “…l’onere di partecipare personalmente a tutti gli incontri di mediazione, chiedendo al mediatore di attivarsi al fine di procurare l’incontro personale tra i litiganti; potrà, altresì, pretendere che nel verbale d’incontro il mediatore dia atto della concreta impossibilità di procedere all’espletamento del tentativo di mediazione, a causa del rifiuto della controparte di presenziare personalmente agli incontri”. Soltanto una volta accertato che la procedura non si è potuta svolgere a causa dell’indisponibilità della parte invitata la condizione di procedibilità potrà considerarsi verificata, per l’ovvia ragione che altrimenti lo stesso chiamato potrebbe, con la propria volontaria (o comunque colpevole) inerzia, addirittura “…beneficiare delle conseguenze favorevoli di una declaratoria di improcedibilità della domanda, che paralizzerebbe la disamina nel merito delle pretese avanzate contro di sé”.

Nel caso di specie, come evidenziato in precedenza, nella mediazione demandata dal giudice non sono comparse personalmente né la parte attrice, né la parte convenuta, mentre in loro rappresentanza “…sono intervenuti soltanto i difensori, i quali non hanno, peraltro, esposto al mediatore alcun giustificato motivo dell’assenza dei rispettivi assistiti. Il mediatore ha dichiarato chiuso il procedimento, senza dare atto a verbale delle ragioni della assenza delle parti e delle eventuali iniziative adottate al fine di procurare la comparizione personale delle stesse. La procedura non si è, pertanto, svolta correttamente, in particolar modo a causa della ingiustificata assenza della parte che ha presentato (su disposizione del giudice) la domanda di mediazione…”.

Su queste basi, dunque, la declaratoria di improcedibilità della domanda.

In conclusione, dunque, va sottolineato il fatto che se è vero, da un lato, che nella mediazione delegata è il giudice a valutare nel caso concreto i margini di “mediabilità” della controversia, è anche vero, dall’altro, che nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, detta valutazione risulta già operata in astratto dal legislatore. Non si vede quindi perchè le stesse considerazioni in ordine alla partecipazione personale delle parti al procedimento ed alla effettività del tentativo non debbano valere anche (ed a maggior ragione) laddove l’esperimento della mediazione condiziona la procedibilità della domanda giudiziale ab inizio.

L’assimilazione in parola, come si evince anche dal caso sopra considerato, è stata già fatta più volte propria dalla giurisprudenza, a partire dalla ordinanza 17 marzo 2014 del Tribunale di Firenze.